lunedì 16 gennaio 2012

STANDING ON THE SHOULDER OF GIANTS: Il mito di Orione

Noi siamo come nani che stanno sulle spalle dei giganti.
Bernardo di Chartres

Orione era un bel ragazzotto, alto e affascinante. Alto soprattutto, talmente alto che mentre coi piedi toccava la terra, la sua testa si nascondeva tra le nuvole, e poteva camminare sul fondo del mare tenendo spalle e testa fuori dall'acqua; per questa ragione egli viveva all'aperto, girando il mondo e visitando tutti i luoghi della terra, che nessuno aveva mai visto; se ne andava felice, gigioneggiando, fischiettando e cantando allegramente, roteando di tanto in tanto il grosso bastone che si portava appresso - un olmo centenario che aveva sradicato quando si era messo in cammino - a volte apoggiandovisi per superare gli ostacoli, altre volte brandendolo come arma quando cacciava le fiere o uccideva i malviventi che incontrava. Se ne andava felice perché lo proteggeva Gaia, la Terra, che era sua madre; egli, infatti, venne al mondo in modo assai curioso.
Viveva tra i monti della Beozia, in un'umile capanna, un povero contadino, Ireo, la cui moglie era morta da poco, lasciandolo senza eredi: egli l'amava disperatamente e le aveva promesso in punto di morte che non avrebbe mai più avuto altra donna all'infuori di lei: così, l'uomo passava i suoi giorni da solo, ricordando le primavere degli anni andati, lavorando umilmente, piangendo le memorie dell'amore perduto. Un giorno passarono di li tre viandanti che bussando alla porta chiesero lui riparo e ristoro. Erano in realtà Zeus, Ermete e Poseidone, scesi dall'Olimpo per visitare gli uomini e partecipare alle loro vicissitudini; Ireo li accolse con tale ospitalità - aveva infatti acceso un caldo focolare arrostendovi la carne di un piccolo toro che aveva per loro sacrificato - che essi decisero di ricompensarlo esaudendo la sua brama più ardente; l'uomo allora raccontò la triste storia della moglie scomparsa, aggiungendo come il suo desiderio più acceso fosse quello di avere da lei un figlio: gli dei, commossi, dissero lui di avvolgere una pietra nella pelle di toro appena scuoiata, e di affidarla poi, per nove mesi, al grembo generoso della madre Terra; e lui così fece. Al termine del tempo indicato dai numi Ireo scavò la terra vicino la casupola dove aveva sotterrato il tutto, lo trasse fuori, e, con grande e meravigliosa sorpresa, vide come nella pelle sgambettava e gemeva un bambino pieno di vita; in lacrime l'uomo prese tra le braccia il tenero bimbo, lo alzò al cielo come per offrirvelo: era infatti un dono degli dei, Orione; e in modo divino crebbe poi quel piccolo: sembrava che egli partecipasse dell'essenza di tutti gli elementi, che coi loro umori nutrono la natura meravigliosa: le sue gambe divennero grandi e robuste come alberi inerpicati sulla cima di una montagna, le sue braccia erano germogli presto destinati a diventare forti arbusti,  il suo volto grazioso come un campo di fiori che si specchia su una sorgente - i suoi occhi-, i capelli un biondo campo di grano, la sua forza e scaltrezza quella dei più fieri animali; forte e bello, Orione divenne ben presto un campione per prestanza e fascino, e decise, gigante com'era, di vivere all'aperto e di girare il mondo.
Salutò con un addio colmo di gratitudine il padre, lo baciò, prese con sè il suo fedele compagno di avventura, un cane di nome Sirio, e iniziò il suo cammino. Tutto si muoveva con fascino intorno a lui, il suo viaggio stesso era meraviglioso; era diventato un abile cacciatore e guerriero, dedito alla giustizia: liberava i boschi dalle belve più feroci e uccideva quei banditi che tanto danno arrecavano alle popolazioni che  incontrava; si dice che persino la pudica Artemide, che gli aveva insegnato a cacciare, si innamorò di lui e segui costantemente le sue imprese; un giorno Eos, l'aurora, spalancando le porte del cielo al carro della luce, scorse Orione intrepido intento a cacciare nel bosco in modo tanto abile e rapido che, rapita dall'immagine, rimase ad ammirarlo per più di un'ora, ritardando il sorgere del sole! Grazie a questo suo fascino, il gigante ebbe molte amanti; un giorno, passando per l'isola di Chio, mentre si riposava all'ombra di un albero, incrociò lo sguardo di Merope, figlia di Enopione, re dell'isola, e se ne innamorò. Il re, però, era restìo a concedere la mano della figlia al gigante e così decise di sottoporre quello ad una prova: se Orione avesse liberato l'isola dalle bestie feroci che distruggevano i raccolti e seminavano il panico tra la popolazione, egli avrebbe potuto prendere Merope in sposa; il gigante non chiedeva di meglio, non esisteva infatti al mondo nessuna fiera capace ancora di resistergli: prese il suo bastone, l'arco con cui cacciava, si mise all'opera, e in poco tempo liberò quel posto dai leoni, dai lupi, dai cinghiali che vi vivevano. Quando però Enopione lo vide tornare gioioso alla sua reggia con sulla spalla le pelli degli animali che aveva ucciso, rimase sbalordito e contrariato: pensò che non voleva assolutamente concedere sua figlia a quell'uomo gigantesco e girovago, che per di più non si sapeva neppure di chi fosse figlio. Non potendosi ritrarre dall'impegno che aveva preso, escogitò allora un sinistro tranello: finse di festeggiare la vittoria di Orione e il conseguente accordo delle nozze con la figlia organizzando un grande banchetto sulla spiaggia dell'isola; fece immolare due grossi e grassi buoi,  invitò le persone più in vista del regno, fece portare soprattutto il miglior vino della regione: era un vino ardente e profumato che il gigante, coppa dopo coppa, bevve allegramente; con l'aiuto di Dioniso e i satiri invocati da Enopione, una volta sazio e ubriaco egli si appisolò sulla spiaggia dell'isola, la faccia rivolta alle stelle. Era l'occasione che il re attendeva: prese i ferri arroventati dove era stata arrostita la carne e con sprezzo e forza li conficcò negli occhi di Orione, accecandolo completamente. Il gigante precipitò nella più profonda oscurità, nel più profondo dolore: solo e abbandonato sulla riva del mare, gemente per l'inganno realizzato, si lavò gli occhi sanguinanti con l'acqua di mare e se ne andò mestamente, trascinandosi a tentoni senza una meta: privo della vista il suo corpo brancolava nel buio, la fiera l'abilità, l'allegra andatura, le sinuose gesta perdute! Dove andare, che cosa fare ora? Non poteva che affidarsi alla carità dei passanti, e attendere che la placida morte mettesse fine alle sue angosce; una sola e ultima disperata e timida speranza gli rimaneva: era una profezia fatta lui da Poseidone nel momento in cui Orione si era affidato alle cure del mare per provare a lenire il dolore e lavare gli occhi sanguinolenti: commosso dal dolore disperato del gigante, turbato dall'inganno che egli aveva subito, il dio del mare parlò così, attraverso l'oracolo della Pizia, all'animo di Orione, dicendo che se questi un giorno avesse potuto rivolgere il suo volto ad Elios nascente, allora forse il dio della luce gli avrebbe fatto riacquistare la vista. Ma come sarebbe mai potuto accadere ciò? Il gigante non sapeva ormai neppure da che parte si levava il sole, e nessuno lo poteva guidare; solo il fedele amico Sirio, pur non potendo guidarlo -era ormai vecchio e malandato dai segni del tempo-, gli dava conforto con quella briciola di affetto che poteva. Una notte, mentre sedeva stanco e sconsolato della sua cieca erranza vicino a non si sa quale sperduto villaggio, ricordando malinconicamente quanto fosse bello dormire sotto il cielo stellato, piangendo per la sua triste sorte, il gigante fu all'improvviso richiamato dal suono di un'incudine: qualche fabbro si era messo a lavorare di notte, prima che il giorno si levasse; Orione, richiamato da felici memorie, avendo aiutato lui il padre nella sua giovinezza a battere il ferro nel suo piccolo casolare sulle montagne, decise di provare a raggiungere allora a tentoni, seguendo la traccia del suono, quell'officina, per vedere se quel fabbro era disposto a dargli una qualche forma di aiuto. Aveva, nel suo errare, raggiunto l'isola di Lemno, e quell'officina in cui entrò era in realtà la fucina del dio Efesto; il dio, a conoscenza della triste storia del gigante, visto quello nella sua penosa condizione, provò pietà e commiserazione per lui e fu ben contento di dargli una mano: era allora lì con lui un bravo e umile garzone, Cedalione, che lo aiutava nelle sue faccende; il dio disse a questi di salire sulla spalla del gigante e guidarlo nelle sue peripezie. Cedalione fu lieto e orgoglioso dell'incarico, e Orione, piegatosi, prese il ragazzo come una piuma e se lo pose delicatamente sulla spalla sinistra, ché sull'altra sedeva accovacciato il vecchio Sirio; i tre uscirono insieme dall'officina, il ragazzo stando sulla spalla di Orione e guidandolo, indicando lui gli ostacoli, i pericoli, le direzioni che doveva intraprendere, facendogli provare quelle sensazioni che il gigante avvertiva solo in quel tempo in cui aveva la piena padronanza del proprio corpo. Camminando dapprima, via via sempre più spediti, acquisendo progressivamente sensibilità e fiducia, attraversavano quel villaggio, i villaggi vicini, e poi via correndo a grandi falcate, quasi volando ai confini del mondo, attraverso fiumi, mari e colli: non c'era più nulla tra il gigante e il mondo, un solo grazioso atto di corsa, un solo respiro, un libero scambio..l'equilibrio dell'appartenersi in movimento, stupendo...; il ragazzo, dalla sua prospettiva, contemplava estasiato le meraviglie del mondo, il mondo e la sua bellezza come nessuno l'aveva mai vista, dalle spalle di un gigante: trafitto da tal meraviglia, pensava in cuor suo che d'ora in poi avrebbe votato la sua giovane vita alla ricerca della bellezza e della verità, e guidato gli altri uomini in questo cammino di libertà, qualunque cosa questo volesse dire; Sirio aveva invece come un ultimo bagliore di luce negli occhi: come se nella corsa di Orione tutta la sua vita gli scorresse davanti veloce, ed era fiero ed orgoglioso di quell'ultima impresa, era felice! I tre avevano, veloci come non mai -poco prima che il giorno nascesse-, raggiunto l'isola più remota del mondo, dove Eos aveva la sua dimora; salirono con un ulteriore sforzo sul colle più alto dell'isola, Cedalione diede un'ultima indicazione ad Orione, questi si volse...ed ecco, il sole stava per nascere: Elios si annuncia con un minuscolo puntino rosso al centro dell'orizzonte, sul brillio del mare circostante, come una piccola e docile scintilla di fuoco che prende corpo a poco a poco, quasi nutrendosi dei riflessi del mare che essa stessa velocemente crea; ed ecco finalmente tutto il cerchio di fuoco innalzarsi sull'orizzonte, stagliarsi sul mare e irradiare lo spazio attorno; i primi raggi colpiscono anche il volto di Orione, le sue labbra si schiudono come un fiore, come per ricevere un bacio delicato, le sue narici iniziano ad inalare forte l'aria del mattino, brividi compaiono sulla sua pelle e i suoi arti iniziano a tremare; ora anche le sue spente pupille tremolano, la luce con un leggero formicolìo da vita ad un filo sottile che invade la sfera oculare, e finalmente gli dà vita: d'un colpo la luce dei suoi occhi si riaccende! Un brivido di magia pervade l'aria circostante, Cedalione e Sirio, che erano scesi dalle spalle del gigante, commossi si godono la profezia che si compie; Orione, il figlio della Terra, può finalmente riabbracciare la madre, specchiare il proprio volto nelle meraviglie del suo: un urlo di gioia scandisce l'incontro, ed ecco il cielo lucente, le nuvole d'oro, i prati scoscesi, le piante e i fiori, tutto ancora per lui...Eos, l'aurora, che aveva spalancato le porte al carro del fratello sole, era rimasta ad ammirare lo spettacolo, commossa, le sue lacrime di rugiada permeavano la natura tutt'attorno; e come il gigante scorse l'aurora che ancora una volta volgeva lui uno sguardo d'amore e ammirazione, si perdette nel suo volto: mai alba fu così bella, egli se ne innamorò e volle presto abbracciare colei che aprendo la via della luce ha reso possibile la sua rinascita: così egli si gettò in una corsa sfrenata giù per il prato scosceso, una corsa di libertà; voleva calpestare l'erba, accarezzare i fiori, salutare gli uccelli, giungere alla dimora di colei che dona la luce; adesso che aveva riacquistato la vista - questi erano i pensieri che si agitavano in cuor suo-, nessuna forza poteva più fermarlo. Ma ecco che abbracciando la libertà, egli abbracciò anche la morte: la sua corsa si arrestò all'improvviso, il suo corpo torcendosi in maniera innaturale, una smorfia di dolore comparve sul suo viso che fu presto abbandonato dal respiro della vita; fece appena in tempo a toccarsi il calcagno e a volgersi indietro: incontrò lo sguardo beffardo della morte, uno scorpione lo aveva punto col suo dardo mortale. Si dice che morì per mano di Artemide, che lo aveva sempre seguito da vicino e aveva inviato quella bestia a compiere l'infima puntura: alcuni dicono per gelosia nei confronti di Eos, con la scusa che una dea non poteva avere un amante mortale, altri per timore che la recuperata forza del gigante potesse far sparire tutti gli animali della terra, che essa stessa cacciava, altri ancora per vendetta, perché Orione, nel vigore della sua giovinezza, aveva osato sedurre e inseguire le Pleiadi, le vergini seguaci della dea, fino ai confini della terra fino al punto che gli dei, tramutatele in colombe, dovettero immortalarne le immagini tra le stelle. E Zeus, per la bellezza della storia di questo gigante mortale, fu commosso dall'esito di questa, e trasformò Orione stesso in una stella, la magnifica stella di Orione, che oggi dà il nome all'omonima costellazione, una delle più brillanti dell'intera volta celesta; pose queste stelle dalla parte opposta alla costellazione dello scorpione, che gli aveva dato la morte e volle piuttosto ricordarlo felice, com'era in vita, cacciatore girovago, all'inseguimento delle Pleiadi: vicino loro lo pose, quasi a immortalarne un'immagine di vita -sembra infatti che Orione ancora le insegua-, lo pose, com'era giusto, vicino anche ad un'altra delle stelle più belle del cielo, Sirio, il cane che gli era rimasto fedele per tutta la vita e che trovò una felice morte proprio guardando il suo padrone correre per i prati sulle ali della libertà, fu trasformato anch'egli in stella. E Cedalione? Beh, egli aveva visto la meraviglia del mondo stando sulle spalle di un gigante, era stato partecipe e co-autore di una magnifica storia; così, col sorriso nel cuore ritornò alla sua vita mortale e omaggiò i posteri di questo mito, che noi oggi ancora ricordiamo. E così noi oggi "siamo come nani che stanno sulle spalle dei giganti, così che possiamo vedere più lontano di loro non grazie alla nostra statura o all'acutezza della nostra vista, ma perché, stando appunto sulle loro spalle, siamo sollevati e innalzati da gigantesca grandezza"; noi siamo sollevati e innalzati dal mito di Orione, della sua storia affascinante: ancora oggi, nelle limpide notti invernali, quando il gelo sgombera l'aria di ogni flusso e sembra che il tempo si fermi, noi possiamo vedere quella bellissima costellazione ergersi all'orizzonte; non è una stella polare, è una costellazione poco propizia alla navigazione e a coloro che viaggiano con una meta precisa: quando essa appare, infatti, getta inquietudine e sconforto, perché preannuncia venti impetuosi che sconvolgono il mare e la terra; no, non è acquietante, una stella di coloro che hanno una metà e non vogliono intoppi nel trovarla...è la stella dei viandanti, dei cacciatori di nuove terre e nuovi orizzonti da scoprire, di coloro che non temono lo spaesamento e vivono nella tempesta; oggi Orione, tra i venti gelidi e le bufere che sconvolgono i nostri tempi, è l'astro di coloro che non hanno timore a vivere nel cambiamento, a stare in cammino, a essere ancora viandanti e cacciatori...Standing on the shoulder of Giants, fuori dalla cecità, fuori dagli sconvolgimenti e dagli ostacoli del tempo, così come Cedalione con Orione, verso una nuova aurora! Se in me è quella voglia di cercare, che spinge le vele verso terre non ancora scoperte, se nel piacere è un piacere di navigante: se mai gridai giubilante: "La costa scomparve"; ecco anche la mia ultima catena è caduta, il senza-fine mugghia intorno a me, laggiù lontano splende per me lo spazio e il tempo, orsù! Coraggio! Vecchio cuore! (Nietzsche)...coraggio, on the shoulder of Giants!
Tommy

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